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ultima modifica: 14 aprile 2015
PREFAZIONE
La famiglia dello scudo rosso: i Rothschild 2
Ho letto con molto interesse libri, fascicoli e siti internet su cosiddette teorie cospirative secondo le quali dietro alle vicende politiche ed economiche ci sarebbero potenti Logge massoniche. Fin qui nulla di strano. Non si può negare infatti che la maggior parte di queste Società Segrete fin dalle loro origini erano composte da influenti personaggi della vita pubblica, politica e militare. La cosa però che ha destato la mia curiosità è l’onnipresenza di un nome ben preciso. Un comun denominatore rappresentato dai Rothschild. Questa famiglia, perché di famiglia si tratta, appartiene secondo molti all’organizzazione elitaria chiamata gli Illuminati di Baviera 3, e governerebbe l’intero sistema bancario mondiale con tutto quello che ne consegue. Se è vero che questo gruppo di burattinai muove le fila della finanza, dell’economia e della politica mondiale, perché allora il nome non figura mai da nessuna parte? Avete mai letto su giornali o sentito alla televisione dei Rothschild e delle loro vicissitudini? Sarebbero dietro le quinte di tutti i più importanti affari e nessuno ne parla, non è un po’ strano? Per la verità, vedremo alla fine che qualcosa è trapelato dai media. Chi ha ragione? Gli autori di svariati libri che puntano il dito contro un sistema occulto, in cui la famiglia Rothschild riveste un ruolo di primaria importanza, in grado di controllare l’intero sistema, o invece chi al contrario afferma che tali ipotesi sono semplicemente frutto di menti malate in preda ad allucinazioni e manie di persecuzioni? L'esperienza mi suggerisce che la verità sta sempre nel mezzo! Quindi prima di avanzare qualsiasi ipotesi in merito andiamo a vedere chi sono e soprattutto cosa fanno oggi i Rothschild. Per ripercorrere le origini torniamo indietro nel tempo di circa duecento anni spostandosi in Germania, precisamente a Francoforte. L'anno è il 1743. L'Adamo non proprio biblico della nostra storia è Amschel Moses Bauer, un semplice orafo tedesco con la passione, che oggi possiamo chiamarla predisposizione, per prestiti e finanziamenti. Semplice orafo per modo di dire naturalmente, visto che è il capostipite che ha dato origine a un impero economico da mille e una notte.
Un impero nato sotto le ali protettive dell'aquila romana contornata da uno scudo rosso. Tale infatti è il sigillo che Amschel aveva collocato sull'entrata della propria azienda. Un logo che divenne presto la rappresentazione figurata dell’attività di Bauer. «La ditta dello Scudo Rosso» veniva infatti chiamata. Quello che non tutti sanno invece è che lo Scudo Rosso in lingua tedesca è Rothschild. Per essere più precisi: Scudo Rosso è Rothen Schild, e da qui Rothschild. Questo particolare è molto importante perché quando il figlio di Moses, Mayer Amschel ereditò da suo padre la società cambiò nome in Rothschild, e tale è rimasto immutato fino ai giorni nostri. Mayer Rothschild da Gertrude Schnapper ebbe cinque figli: Amschel (1773-1855), Salomon (1774-1855), Nathan (1777-1836), Karl (1788-1855) e Jacob (1792-1868).
Non appena i ragazzi furono istruiti a dovere sull’attività economica e finanziaria partirono alla volta di altrettante capitali europee per aprire filiali ed espandere l'impero esclusivamente patriarcale. Le donne avevano un ruolo secondario nella gestione. Il primogenito Amschel essendo il più anziano rimase a Francoforte per controllare la società base, Salomon invece andò a Vienna, Nathan a Londra, Karl a Napoli e Jakob a Parigi. La famiglia cresce, e cresce anche la necessità di un nuovo emblema che li rappresenti al meglio. Cinque frecce che s'incrociano intersecandosi in un unico punto è il nuovo stemma.
Le frecce rappresentano i cinque fratelli e il punto d'intersezione è lo scopo che unisce tutta la famiglia. Avrete già capito qual è questo scopo. Senza nulla togliere all'operato dei fratelli, è d'obbligo «spezzare una freccia» - visto che siamo in tema - in favore di Nathan, il quale si distinse immediatamente per fiuto e capacità imprenditoriali. Ricordiamo che agli inizi dell’Ottocento l’Europa stava cambiando velocemente e questo poteva creare certamente molte occasioni per uomini intelligenti e soprattutto ricchi. Nathan approfittò di questa situazione e aprì a Manchester un'impresa tessile. Il rapido declino delle esportazioni tessili britanniche durante il blocco continentale costrinsero però Nathan a tornare a Londra per estendere le proprie attività in ambito finanziario. Le attività del figliol prodigo s'impennarono in potenza e prestigio grazie anche al matrimonio con Hannah Barent Cohen (1783-1850), la figlia di uno dei più ricchi mercanti ebrei londinesi. I conti li sapeva fare molto bene! Conti che dirottavano sempre più verso operazioni finanziarie speculative su titoli britannici ed esteri, cambi valute, metalli preziosi, ecc... Qualche esempio? Il Duca di Wellington non avrebbe potuto pagare il suo esercito nella battaglia di Waterloo senza la mano, anzi il portafogli, dei Rothschild. Dopo questa vittoria, la banca di Nathan vinse il contratto per i pagamenti dei tributi agli alleati europei. Anche il governo francese dovette usufruire dei fondi privati per rimpinguare le casse nazionali svuotate dall’estenuante guerra franco-prussiana. Salomon Rothschild a Vienna finanziava intanto il debito estero austriaco attraverso contratti di prestito al Principe Metternich. I cinque fratelli, pur lavorando a distanza, portavano avanti la stessa tecnica, quella della riserva frazionale bancaria. Questo permise la loro autonomia e indipendenza in ogni Paese in cui operavano. Con queste enormi risorse economiche riuscirono a intervenire persino a favore della Banca d’Inghilterra, quando la crisi di liquidità del 1826 piegò le gambe al governo britannico. Grazie ad una immissione di un grosso quantitativo di oro fu scongiurato il peggio.
Ma la storia non finisce qui, perché nel settore pubblico si distinsero per i finanziamenti della rete ferroviaria in Francia, Italia, Austria, per il Canale di Suez, permisero l’acquisto dei terreni minerari in Spagna, Sud America, Sud Africa e Africa Occidentale. L'oro era così importante e fondamentale per i Rothschild che dal 1919 fino ai nostri giorni la banca ha ospitato e presieduto per due volte al giorno il fixing mondiale del prezzo dell'oro. Vi rendete conto: stabilivano anche il prezzo mondiale dell'oro! Addirittura sembrerebbe, e il condizionale è d'obbligo, che una banca della famiglia abbia finanziato John David Rockefeller (1839-1937) per la sua monopolizzazione della raffinazione del petrolio che portò alla fondazione della Standard Oil. Cosa dire delle ricostruzioni postbelliche?
Nelle guerre si sa, non vi sono mai vincitori. Di per sé una guerra è sempre una sconfitta sia per chi la provoca ma soprattutto per chi la subisce. Dall’ottica di un banchiere però, una guerra è sempre una ghiotta opportunità di investimenti, di prestiti, di ricostruzioni. Infatti dopo la Prima Guerra Mondiale, precisamente nel 1922, i Rothschild misero a disposizione fondi per la ricostruzione in numerosi paesi come Francia, Germania, Cecoslovacchia, Ungheria. A questo punto ho dovuto scacciare con la forza dalla mia mente un dubbio tremendo. è possibile che banchieri senza scrupoli fomentino a proprio piacimento le guerre, magari finanziando entrambe le fazioni e innescando la miccia fornendo poi i soldi per la ricostruzione? In via molto ipotetica sì. Scatenare una guerra non è così difficile: si forniscono le armi a entrambe le parti e si trova una motivazione sufficiente: religione, petrolio, terrorismo, ecc... No! La perfidia umana non può arrivare a tanto! Giusto?
A questo punto negare o far finta di non vedere che l’impero dei Rothschild fin dai primi anni del XIX secolo ha influenzato la politica, l’economia e la finanza del mondo intero è un’offesa alla comune intelligenza. E oggi? Come sono messi, anzi, visto che interessa pure la nostra cara Italia come siamo messi? Forse la famiglia si è ritirata a vita privata e si sta godendo un meritato riposo? Sbagliato. Certamente la vita è rimasta sempre molto privata. Non riesco infatti ancora a spiegarmi come la stampa, sempre più ricca di pettegolezzi e gossip e meno di informazioni utili, non s’interessi della vita di questi personaggi affascinanti e al limite del misteriosofico. Riescono - i media - a scovare una star televisiva che si sta abbronzando nuda dentro la caldera di un vulcano in pieno inverno e nessuno fà un servizio sugli appartenenti alla famiglia più potente del pianeta.
Non è un po' strano? Lungi da me l'idea che gli editor non possano fare servizi su certi banchieri internazionali, rimane allora la spiegazione che forse a nessuno interesserebbe. Strano perché personalmente preferirei leggere qualcosa su i «veri controllori» piuttosto che leggere e/o vedere qualche personaggetto estivo che pur di apparire nei giornali venderebbe la propria anima al diavolo, in questo caso fotografi e giornalisti. Tornando al discorso di prima, oggi la famiglia Rothschild non ha perso prestigio e potere, semmai con il passare degli anni lo ha consolidato ulteriormente. Incredibile ma vero. Passano gli anni e i loro sistemi si adeguano. Oggi hanno sviluppato una divisione per il finanziamento d’impresa al servizio di fusioni e acquisizioni. Operazioni queste all’ordine del giorno. Basta aprire un qualsiasi giornale finanziario per leggere che la multinazionale ics si è unita, o è in procinto di farlo, con la transnazionale ipsilon. Fusioni il cui unico risultato è la creazione di megacorporazioni amministrate da pochissimi e composte da migliaia tra affiliate e holding. In fisica per innescare una fusione nucleare tra atomi serve molta energia qui le fusioni necessitano solo di soldi. Moltissimi soldi. Chi possiede tutti questi soldi se non i banchieri? Vediamo adesso nel dettaglio dove i tentacoli economici dei Rothschild sono arrivati nel 3° Millennio.
Per problemi di spazio cito solamente le società più conosciute e/o riguardanti il nostro Paese, ma chiunque volesse approfondire consiglio di entrare nel sito ufficiale della famiglia e stamparsi l'elenco completo. Fate scorta di carta! Tra le straniere spiccano: De Beers (quella dei diamanti), la Enron (fallita da poco), British Telecom, France Telecom, Deutch Telekom, Alcatel, Eircom, Mannesmann, AT&T, BBC, Petro China, Petro Bras, Canal+, Vivendi, Aventis, Unilever, Royal Canin, Pfaff, Deutch Post, e moltissime altre. Torniamo adesso un momento in Italia poiché ce n'è per tutti i gusti: Tiscali, Seat Pagine Gialle, Eni, Rai, Banca di Roma, Banco di Napoli, BNL Banca Nazionale del Lavoro, Banca Intesa, Bipop-Carire, Banca Popolare di Lodi, Monte dei Paschi di Siena, Rolo Banca 1473, Finmeccanica. Vi può bastare? Penso proprio di sì!
Mi avvio a concludere nella speranza che questa piccola e incompleta illustrazione possa almeno aver fatto nascere qualche dubbio e/o curiosità in più su questa incredibile e decisamente atipica famigliola. Non posso confermare ma neppure smentire le pesanti e inquietanti affermazioni che svariati autori pubblicano sui Rothschild. Tengo a sottolineare che la cosa più incredibile è come i media in generale evitano di trattare tali argomentazioni. Passi il discorso sulla cospirazione globalizzata alla George Orwell (1903-1950), ma qui i fatti parlano chiaro. Le trame e gli intrecci economici pure. Sono sotto gli occhi di tutti. Almeno di chi vuol vedere. Non posso accontentarmi di leggere su La Stampa, del 7 giugno 1996, che Lady Rothschild era l'ipotetica spia del KGB a Londra, o su Il Giorno, del 29 agosto 2000 la cronaca della morte per overdose all'età di ventitre anni di Raphael, figlio di Nathaniel Rothschild. Queste rientrano nel deleterio e purtroppo tanto seguito gossip. Le cose serie e importanti sono altre.
Marcello Pamio
I
La casa dell'«insegna rossa» nella
vecchia via degli ebrei a Francoforte:
Culla ed inizi di una dinastia finanziaria
Johann Wolfgang Goethe (1749-1832) ha così descritto l'aspetto dello Judengasse, il quartiere ebraico di Francoforte: «Una via stretta, angosciante e sporca, con case imbrattate di fumo e una popolazione brulicante». In quella via c'era una casa ornata con un'insegna rossa, (in tedesco roth schild). È a questa insegna, a questo scudo rosso che si ricollega il nome della famiglia che divenne la più opulenta dell'Universo. Una dinastia di un nuovo genere doveva uscire da questo luogo desolato. Un certo Mosé Anselmo (Moses Amschel), rigattiere di curiosità e di vecchie medaglie, si guadagnava da vivere vendendo la sua merce di villaggio in villaggio, con la sua modesta sacca sulla schiena.
Di lui si racconta un episodio che ben descrive la sua caratteristica prudenza. Un giorno, strada facendo, incontrò uno dei suoi correligionari, anch'egli venditore ambulante, ma più fortunato di lui poiché possedeva un asino. Su offerta cortese del suo collega, Moses Amschel si alleggerì del suo fardello, che depositò sul somaro. Arrivati sul bordo di un profondo burrone su cui era stato gettato un traballante ponte di tavole, Moses Amschel fermò l'asino e riprese la sua sacca rispondendo al suo compagno che lo scherniva: «Talvolta accadono degli incidenti in passaggi come questo, e poiché questa bisaccia contiene tutto ciò che possiedo, non mi potete impedire di essere prudente». E fece bene perché l'asino e il suo conducente si erano appena avviati sul ponte che crollò sotto di essi trascinandoli nell'abisso 4.
Suo figlio Mayer Amschel nacque nel 1743. Destinato dai suoi genitori a diventare rabbino, venne mandato a Fürth per seguire un corso di teologia ebraica; ma non aveva alcuna vocazione. Il suo gusto lo portava a collezionare e a trafficare antiche medaglie e vecchie monete; si mise in contatto con i numismatici che apprezzarono la sua sagacia e il suo giudizio, ed entrò come impiegato nella Banca degli Oppenheim, ad Hannover. Vi restò per alcuni anni, godendo di molta stima da parte dei capi di questa Banca. Sobrio, avveduto e attivo, egli mise da parte un po' di denaro e si mise per per conto suo, acquistando e vendendo medaglie e monete, unendo a questo commercio, in cui in passato era un vero esperto, quello degli oggetti d'arte, dei metalli preziosi e degli avanzi di depositi, fino al giorno in cui potè dedicarsi esclusivamente alle operazioni di banca. Fu lui che concluse l'acquisto della vecchia casa con l'insegna rossa nello Judengasse di Francoforte. Entrandovi, ne prese il nome, e divenne il primo Rothschild.
Da sinistra: lo Judengasse, la casa dello «scudo rosso» e Mayer Amschel.
La fortuna firmò questa denominazione. Vi si stabilì con la moglie, Gutle Schnapper (1753-1849), la madre di tutti i Rothschild, i cinque moderni Creso. Questa umile ebrea non stava forse diventando come Marie (1750-1836), la madre della stirpe dei Napoleone? Diciamo, en passant, che ella non acconsentì mai a lasciare, per un più brillante soggiorno, la casa dell'insegna rossa: vi abitò fino al 1849, anno in cui si spense dolcemente nel suo novantaseiesimo anno di vita. Alla sua reputazione di abilità, Mayer Amschel Rothschild univa quella di una rara integrità. Era soprannominato «l'ebreo onesto». Egli si seppe guadagnare la fiducia del Langravio 5 o Elettore di Hesse-Cassel, Guglielmo IX (1743-1803). Questo sovrano aveva accumulato un tesoro, un ammasso d'oro e di pietre preziose. Nel 1806, sopraggiunse il grande crollo dei piccoli prìncipi tedeschi: i loro principati furono invasi da tutte le parti dagli eserciti di Napoleone Bonaparte (1769-1821).
A Guglielmo IX venne annunciata l'invasione dei suoi piccoli Stati: precipitosamente, egli fece venire in segreto, nel suo palazzo, Mayer Amschel. Da questo incontro e da ciò che ne seguì iniziò la grandezza della casata dei Rothschild. I dettagli precisi sono quasi sconosciuti. Le memorie di un testimone, di un contemporaneo, del Generale barone Jean-Baptiste-Antoine-Marcelin de Marbot (1782-1854), fanno un po' di luce su questo evento; lasciamolo parlare: «Obbligato a lasciare in fretta Cassel per rifugiarsi in Inghilterra, l'Elettore di Hesse, che passava per il più ricco capitalista d'Europa, non potendo portare con sé la totalità del suo tesoro, fece venire un ebreo di Francoforte di nome Rothschild, un banchiere di terz'ordine e poco ragguardevole, ma conosciuto per la scrupolosa regolarità con cui praticava la sua religione, il che convinse l'Elettore a affidargli i milioni in contanti. Gli interessi di questo denaro sarebbero rimasti al banchiere che era unicamente tenuto a rendere il capitale. Quando il palazzo di Cassel venne occupato dalle nostre truppe, gli agenti del Tesoro francese vi trovarono oggetti di valore considerevole, soprattutto quadri; ma non venne trovato denaro liquido. Sembrava tuttavia impossibile che, nella sua fuga precipitosa, l'Elettore avesse portato con sé la sua immensa fortuna. Ora, poiché secondo le vigenti leggi di guerra, i capitali e i redditi dei valori trovati in un Paese nemico appartengono di diritto al vincitore, si volle sapere che ne era stato del tesoro di Cassel. Siccome le notizie acquisite a questo riguardo avevano accertato che prima della sua partenza l'Elettore aveva trascorso una giornata intera con l'ebreo Rothschild, una Commissione imperiale si recò da quest'ultimo, la cui cassa e cui registri furono minuziosamente esaminati. Ma tutto fu vano: non si trovò nessuna traccia del deposito fatto dall'Elettore. Le minacce e l'intimidazione non ebbero alcun successo, cosicché la Commissione, persuasa che nessun interesse mondano avrebbe indotto un uomo religioso come Rothschild a spergiurare, gli impose un giuramento. Egli si rifiutò di prestarlo; si pensò di arrestarlo, ma l'imperatore si oppose a questo atto di violenza, giudicandolo inefficace. Si fece allora ricorso ad un espediente poco onorevole. Non potendo vincere la resistenza del banchiere, si tentò di convincerlo con l'esca del guadagno: gli si propose di lasciargli la metà del tesoro se avesse consegnato l'altra metà all'amministrazione francese; quest'ultima gli avrebbe consegnato una ricevuta pari al totale, corredata da un atto di pignoramento, che provava che aveva ceduto unicamente di fronte alla forza, documento che lo avrebbe messo al riparo da ogni reclamo da parte del proprietario; ma la rettitudine dell'ebreo respinse anche questo stratagemma, e alla fine venne lasciato in pace. I quindici milioni restarono nelle mani di Rothschild dal 1806 fino alla caduta dell’impero, nel 1814. A quell’epoca, essendo l'Elettore rientrato nei suoi Stati, il banchiere di Francoforte gli rese esattamente il deposito che gli aveva affidato. Vi figurate quale somma considerevole aveva prodotto, in un lasso di tempo di otto anni, un capitale di quindici milioni tra le mani di quel banchiere ebreo di Francoforte?... Risale anche a quell’epoca la ricchezza della casa dei fratelli Rothschild, che devono così alla lealtà del loro padre l’elevata posizione finanziaria che ancora oggi occupano in tutti i paesi civilizzati» 6.
Da sinistra: Gutle Schnapper, Guglielmo IX e il generale de Marbot.
Non fu il vecchio Mayer Amschel ad avere la consolazione di rimettere tra le mani dell'Elettore il tesoro affidatogli. Questo compito venne lasciato a suo figlio Nathan, nel 1814. Il fedele depositario era morto il 13 settembre 1812. Prima di morire, egli aveva riunito attorno al suo letto i suoi cinque figli, Amschel, Salomon, Nathan, James e Charles, e aveva detto loro: «Restate sempre fedeli alla legge di Mosé; e non separatevene mai; non fate niente senza i consigli di vostra madre; se osserverete questi tre precetti che vi do diventerete ricchi tra più ricchi, e il mondo vi apparterrà» 7. Le predizioni del vecchio di Francoforte dovevano realizzarsi. Una dinastia finanziaria era stata fondata 8.
II
Nathan Rothschild
e il duca di Wellington
Alla morte del padre, i cinque figli, pur restando uniti, si sparsero per il mondo: Salomon andò a Vienna, Nathan prese dimora a Londra, James si recò a Parigi, Charles andò a Napoli, mentre Amschel, il maggiore, quello che portava il nome del padre, rimase nella casa di Francoforte. I cinque Rothschild si erano così insediati nei cinque grandi mercati finanziari d’Europa. Forti della loro unione, dei loro capitali accumulati, del nome di loro padre, erano pronti ad approfittare degli avvenimenti che stavano per precipitare, dei cambiamenti che dovevano portare alla caduta dell'impero, imminente e prevista. Sentinelle di un nuovo tipo, essi rimasero in contatto tra loro grazie ai loro osservatori, scambiando la parola di guardia degli antichi bastioni di Gerusalemme: «Sentinella, quanto resta della notte? Sentinella, cos’hai visto nella notte»? (Is 21, 11). Il Rothschild di Londra era Nathan. Fu lui che era stato incaricato dal padre di riportare all'Elettore di Hesse i quindici milioni affidati. Li avevano avuti, del resto, in loro possesso fin dal 1806, per farli fruttare: «Mio padre mi aveva spedito questi fondi, da cui trassi così buono partito che più tardi il principe mi fece dono di tutto il suo vino e della sua biancheria» 9. Questo Rothschild inglese era il più originale della famiglia. Quando si era stabilito in Inghilterra e aveva tentato la fortuna allo Stock-Exchange (la Borsa di Londra), le prime volte, pochi si erano occupati di lui, «e le teste grigie dei veterani della Borsa trattarono con qualche disdegno il figlio del banchiere di Francoforte». Ma aveva conquistato velocemente il suo posto, quando lo si era visto «in cinque anni moltiplicare 2.500 volte il suo capitale, organizzando un servizio speciale di poste, investendo somme considerevoli all’acquisto di piccioni viaggiatori, moltiplicando i mezzi d’informazione sicuri e pronti». La caduta dell'impero e la battaglia di Waterloo dovevano fornirgli l'opportunità decisiva di inaugurare, sul primo mercato del mondo, la sua supremazia finanziaria 10.
Nathan Rothschild aveva per amico Arthur Wellesley, il duca di Wellington (1769-1852). Questa amicizia datava dalla guerra contro la Spagna. Il governo britannico, molto imbarazzato di dover far pervenire regolarmente al duca di Wellington i fondi che gli erano necessari, si era rivolto alla casa dei Rothschild. Si sdebitò di ciò con puntualità, inaugurando una neutralità che consisteva nel fornire dell'oro a quelli che si battevano in duello. Il poeta ha detto: «Per paura di indossare la corazza, servi con fedeltà una damigella di ghiaccio che si chiama Neutralità» 11.
Nella casa dei Rothschild, la damigella era d'oro... Questa missione di intermediario valse all'opulenta casa, in otto anni, 1.200.000 sterline (trenta milioni di franchi), e creò dei rapporti stretti tra il duca di Wellington e Nathan Rothschild. L'Europa respirava da quando Napoleone era stato relegato nell’isola d'Elba: era il trionfo dell'Inghilterra. Esplose improvvisamente, come un tuono a ciel sereno, la notizia dello sbarco dell'imperatore al golfo Juan, della sua marcia veloce su Parigi e della fuga dei Borboni. L'Europa fu sconcertata e il mercato di Londra sconvolto. Poco dopo, il duca di Wellington prese, in Belgio, il comando delle forze inglesi; e Nathan Rothschild, il suo amico, che comprese che la sorte dell'Europa dipendeva dalla prima battaglia, e fidandosi poco della sagacia dei suoi corrispondenti, lasciò Londra e arrivò a Bruxelles. Poi, seguì lo Stato Maggiore del duca di Wellington a Waterloo.
Salomon
Nathan
James
Charles
Amschel
Il duca di Wellington
III
Mont-Saint-Jean: L'agonia dell'aquilasotto gli occhi dell'avvoltoio
«Dopo avere volato di campanile in campanile, fino alle guglie di Notre-Dame», l'aquila era venuta a posarsi su di un albero del campo di Waterloo. Dalla parte opposta, su di una rovina, la guardava un avvoltoio. L'albero malinconico dell'aquila non è solo una leggenda. Un contemporaneo di quella solenne giornata sembro essersi appoggiato a quella pianta; il celebre scrittore François-René de Chateaubriand (1768-1848) ha potuto scrivere: «Mi trovai di fronte ad un pioppo piantato all'angolo di un campo di luppolo; attraversai la strada e mi appoggiai in piedi contro il tronco dell'albero, con il volto girato in direzione di Bruxelles. Il vento del Sud che si era alzato mi portò più distintamente il rumore dell'artiglieria. Questa grande battaglia ancora senza nome, di cui ascoltai l'eco ai piedi di un pioppo e di cui un orologio di un villaggio aveva appena finito di suonare il funerale sconosciuto, era la battaglia di Waterloo! Ascoltatore silenzioso e solitario del formidabile arresto dei destini, sarei stato meno commosso se fossi stato nella mischia: il pericolo, il fuoco, la calca della morte non mi avrebbero lasciato il tempo di meditare; ma, solo sotto ad un albero, nella campagna di Gand, come il pastore delle greggi che pascolavano intorno a me, il peso delle riflessioni mi prostrò. Di quale combattimento si trattava? Era definitivo? Napoleone era là in persona? Sul mondo, come sulla veste di Cristo, era stata gettata la sorte? Successo o rovescio di uno o dell'altro esercito; quali sarebbero state le conseguenze di quell'avvenimento per i popoli: libertà o schiavitù? Ma quale sangue colava? Ogni rumore che giungeva al mio orecchio non era forse l'ultimo sospiro di un francese? Era una nuova Crécy, una nuova Poitiers, una nuova Azincourt di cui avrebbero goduto i nemici più implacabili della Francia? Se trionfavano, la nostra gloria sarebbe andata perduta? Se Napoleone avesse prevalso, che ne sarebbe stato della libertà»? 12.
Napoleone era certamente là in persona. Aveva nuovamente confidato nella sua fortuna sui campi di battaglia, per acquisirvi il diritto di ogni potere a suo piacimento. Come ai tempi barbari, i sovrani, riuniti a Vienna, avevano messo una taglia di due milioni sulla sua testa. Tre eserciti, il cui l'effettivo doveva superare gli 800.000 uomini, si erano messi in marcia per schiacciarlo sotto il loro peso: gli inglesi, agli ordini di Wellington; gli austriaci, comandati dal principe Karl Phillip von Schwarzenberg (1771-1817); i prussiani, guidati da Gebhard Leberecht von Blücher (1742-1819). Ma Napoleone era ancora il genio delle battaglie; aveva appena inflitto perdite enormi a Blücher davanti a Fleurus, nel villaggio di Ligny; e quarantott'ore dopo, l'aquila nell'ultimo volo impetuoso attaccò Wellington a Mont-Sanit-Jean, presso Waterloo. Ma l'aquila era anche la sua vecchia guardia. Al contro dei sovrani che l'avevano escluso in modo così strano dalle leggi dell'umanità mettendo una taglia sulla sua testa, i suoi soldati non desideravano altro che a versare un'ultima volta il loro sangue per difenderlo.
Da sinistra: de Chateaubriand, von Schwarzenberg e von Blücher.
Al suo ritorno dall'isola d'Elba, aveva detto loro, rendendoli aquile a loro volta, e presentando il piccolo battaglione che l'aveva accompagnato nella sua isola: «Soldati! Ecco gli ufficiali del battaglione che mi ha accompagnato nella mia disgrazia: sono tutti miei amici; sono cari al mio cuore. Tutte le volte che li vedevo, mi ricordavano i diversi reggimenti dell’esercito. Tra questi seicento coraggiosi, ci sono uomini di tutti i reggimenti; tutti mi ricordavano quelle grandi giornate il cui ricordo mi è così caro: perché tutti sono coperti di onorevoli cicatrici ricevute in quelle memorabili battaglie. Nella calamità, siete voi tutti, soldati dell'esercito francese, che amavo! Vi riporto queste aquile; che vi servano per unificarvi; dandoli alla guardia, li do a tutto l'esercito; il tradimento e alcune circostanze disgraziate li avevano ricoperti di un velo funebre; ma, grazie al popolo francese e a voi, riappaiono splendenti in tutta la loro gloria. Potete giurarci che si troveranno sempre e ovunque l’interesse della patria li chiamerà! Che i traditori e quelli che vorrebbero invadere il nostro territorio non possano sostenere mai i loro sguardi»! Un brivido generale nelle schiere della guardia era stato la risposta di una devozione che giunse fino alla morte: questa abnegazione doveva manifestarsi a Waterloo. Ecco l'aquila! Di fronte ad essa, guardava l’avvoltoio. Non siamo noi che abbiamo affibbiato a Nathan Rothschild questo appellativo; non facciamo che riferirlo. In un opuscolo che abbiamo sotto gli occhi, datato 1846, abbiamo trovato questo doloroso passo: «La corruzione genera i versi. I cadaveri attirano gli avvoltoi. Le grandi catastrofi fanno vivere l'aggiotaggio 13. I destini dell'Europa stavano per essere decisi a Mont-Saint-Jean. L'avvoltoio aveva seguito le tracce dell'aquila. Nathan Rothschild era in Belgio, con gli occhi fissi su Waterloo» 14.
In queste poche righe, quale ritratto! Né mantello broccato d'oro, né titoli di nobiltà, correggeranno mai la fisionomia di questo Nathan, venuto per speculare su questo solenne disastro. I libri di storia naturale caratterizzano l'avvoltoio per gli occhi sgranati: quali occhi a fior di pelle doveva dare l'ansietà del guadagno al finanziere che seguiva lo Stato Maggiore del duca di Wellington! Si spiegò allora l'ultimo volo dell’aquila; poi la sua agonia. A Mont-Saint-Jean, Wellington si era fortificato in una posizione difensiva, molto favorevole al freddo coraggio britannico.
Vedendolo quasi addossato ad una foresta senza via d'uscita, l'imperatore calcolò che poteva causargli un disastro, e malgrado la stanchezza dei suoi soldati e un terribile fango, non resistette a questa tentazione. Separato dagli inglesi da un piccolo avvallamento, al di sopra del quale la sua artiglieria pesante li martellava, incaricò il Maresciallo Michel Ney (1769-1815) di superare questo spazio e di sfondare il loro centro. Le pendenze vennero avvallate; Ney si stabilì sul lato opposto. Alcuni cannoni, truppe fresche e la battaglia era vinta. Ma, volendo seguirlo, i pezzi restarono impantanati ai piedi delle alture, e allo stesso tempo le riserve furono obbligate a fare improvvisamente fronte a 30.000 prussiani apparsi sulla destra. Era l'avanguardia di Blücher comandata da Graf Friedrich von Bülow (1755-1816). Nonostante questi incidenti, i francesi mantennero le posizioni, e gli sforzi di Wellington finirono solamente per ritardare la sua disfatta fino alle sette della sera. Si credeva perduto, quando improvvisamente una voce percorse il campo di battaglia.
Che cosa diceva questa voce? Dopo aver sconfitto Blücher a Ligny, Napoleone aveva incaricato Emmanuel de Grouchy (1766-1847) di sorvegliarlo e di impedire di passare, mentre avrebbe attaccato Wellington a Mont Saint-Jean. Ora, a metà della giornata, l'avanguardia prussiana era giunta in soccorso degli inglesi: era passata. E verso sera, Blücher in persona, essendo passato anch'egli, si presentò con il resto delle sue forze sul campo di battaglia di Waterloo 15. «Ecco Grouchy! In ritardo, ma ancora in tempo», si dicono tra loro gli estenuati soldati dell'esercito francese! Terribile delusione, senza eguali nella storia dei combattimenti! Questi soldati erano spossati, mentre le truppe di Blücher erano fresche. Una nuova battaglia, alle otto della sera, era diventata impossibile: si buttarono gli uni sugli altri. Non era più una lotta, ma il massacro in una spaventosa disfatta. La guardia, tuttavia, rimase impassibile. Si raggruppò in numerosi quadrati; con essa, l'aquila seppe morire!
Da sinistra: Michel Ney, von Bülow ed Emmanuel de Grouchy.
«Attorno a questa falange immobile, lo straripamento dei fuggiaschi trascinò tutto, tra i fiotti di polvere, di fumo ardente e di mitragliamento, nelle tenebre solcate da razzi, nel mezzo dei ruggiti di trecento pezzi d'artiglieria e dal galoppo di 25.000 cavalli: fu come l’epilogo finale di tutte le battaglie dell'impero. Due volte i francesi hanno gridato vittoria! Due volte le loro grida sono state soffocate sotto la pressione delle colonne nemiche. Il fuoco delle nostre linee si spense; le cartucce si esaurirono; alcuni granatieri feriti, circondati da 40.000 morti, da 100.000 pallottole insanguinate, raffreddate e attaccate ai loro piedi, restarono appoggiati in piedi al loro moschetto scarico con la baionetta spezzata. Non lontano da essi, l'uomo delle battaglie, seduto in disparte, ascoltava, con l'occhio fisso, l'ultima cannonata che avrebbe sentito nella sua vita» 16. Chiese di entrare in un quadrato della sua guardia per perire con essa: i suoi Generali lo portarono con la forza.
Ma torniamo ad altre ansietà, quelle dell'uomo del guadagno: «Nathan Rothschild si è mescolato allo Stato Maggiore del duca di Wellington. Durante tutta la memorabile giornata del 18 giugno, non lasciò mai il campo, interrogando ansiosamente Pozzo di Borgo, il Generale Alava, il barone Vincent, il barone Müffling, passando con essi dal timore alla speranza, vedendo tutto compromesso quando Napoleone lanciò sui quadrati inglesi un massa di 20.000 cavallerizzi, i più agguerriti e più temibili d'Europa, stimando tutto perduto quando la guardia risalì, fucile alla mano, il burrone di Mont-Saint-Jean. Su questo grande tappeto verde dove si giocavano i destini d'Europa, era in gioco anche la sua rovina o la sua fortuna. La sua stella gli arrise; vide l'invincibile colonna oscillare sotto le ripetute scariche di oltre duecento pezzi d'artiglieria, come un immenso serpente colpito alla testa, e capì che tutto era salvo quando l'avanguardia di Blücher sbucò dal passo di Saint-Lambert» 17. Spronando allora il suo cavallo, raggiunse tra i primi Bruxelles, si gettò nella sua diligenza e, la mattina del 19 giugno, arrivò ad Ostenda.
IV
LA BARCA DEL MILIONARIO ATTRAVERSO IL TEMPORALEE IL COLPO DI BORSA A LONDRA
Il mare era molto mosso. Nessun pescatore voleva rischiare l'attraversata. Vanamente, Rothschild offrì 500, 600, 800, 1.000 franchi: nessuno osò accettare. Ma, c'è forse qualcosa di insormontabile per la cupidigia? Infine, uno di essi acconsentì a trasportare dall’altra sponda dello stretto il milionario, mediante una somma di 2.000 franchi che Nathan aveva consegnato alla moglie. Il pover uomo dubitava fortemente che avrebbe rivisto la sua capanna e la sua compagna! La barca si allontanò. Al largo, la tempesta si calmò. Mai il proverbio secondo cui la fortuna è con gli audaci trovò più completa applicazione. Strana barca, come ben ricorderai, per la tua felice audacia, quella di Cesare, ma non ricordi più che proprio su questo mare del Nord la barca dei normanni che fece piangere Carlo Magno?... La stessa sera, Nathan Rothschild sbarcò a Dover. «Esausto, riuscì tuttavia a procurarsi alcuni cavalli. L'indomani, lo si ritrovò al suo posto abituale, appoggiato ad una delle colonne dello Stock-Exchange, il viso pallido e disfatto come quello di un uomo che ha appena ricevuto un colpo terribile. Lo smarrimento e lo stupore regnavano in Borsa, e l'abbattimento di Rothschild non era affatto rassicurante. Lo si osservò, si scambiò con lui alcuni significativi colpi d'occhio e si attendevano disastrose notizie. Nessuno sapeva che era appena arrivato dal continente e che i suoi agenti vendevano e compravano. Nella vasta sala silenziosa, scossa da momenti di rumorosi clamori, gli speculatori erravano come anime in pena, discutendo a voce bassa sull'atteggiamento affossato del grande finanziere. Fu molto peggio quando corse voce che un amico di Rothschild disse che Blücher, con i suoi 117.000 prussiani, era andato incontro ad una terribile disfatta, il 16 e il 17 giugno, a Ligny, e che Wellington, ridotto ad un pugno di soldati, non poteva sperare di tenere testa ad un Napoleone vittorioso, libero di disporre di tutte le sue forze. Questo vociare si sparse come una striscia di polvere per tutta la città. I titoli calarono ulteriormente; si pensava che tutto fosse perduto. Tuttavia, alcuni matti sembravano tenere ancora duro, perché si segnalavano, in certi momenti, alcuni importanti acquisti, seguiti da una tregua. Vennero attribuiti ad ordini venuti dall'esterno, dati alla vigilia della battaglia da speculatori male informati; si produssero quando lo scoraggiamento si accentuava, intermittenti e come per caso. Quella giornata e la mattinata successiva trascorsero così. Solo nel pomeriggio esplose la notizia della vittoria degli alleati. Nathan, con il viso radioso, la confermava a chi voleva sentirla. D'un tratto la Borsa risalì alle vette più elevate. Si compiangeva Rothschild; si valutava la cifra delle sue perdite; si ignorava che, se aveva fatto vendere tramite mediatori conosciuti, aveva fatto acquistare, su scala ben più vasta, da agenti in incognito, e che, lungi dall'essere in perdita, aveva incassato più di un milione di sterline di profitti» 18. Un colpo di rete da trenta milioni di franchi: mai il mare del Nord si era rivelato così pescoso!
V
Giudizio sul guadagno
dei trenta milioni
Che cosa si deve pensare di un simile guadagno? E quale impressione è rimasta negli spiriti? Sembra che da un punto di vista morale si devono considerare cinque cose intorno al lucroso affare di Waterloo:
- L'impresa;
- Le probabilità;
- L'operazione finanziaria;
- Il silenzio osservato da Rothschild sull'esito della battaglia;
- L'astuzia con cui ha agito.
- L'impresa? Per lui è stata piena di stanchezze e di pericoli;
- Le probabilità? All'inizio sono state incerte, poiché nessun pescatore voleva dirigere la sua fragile imbarcazione, e che ha rischiato, davanti ad un mare in tempesta, di essere inghiottito dai flutti;
- L'operazione finanziaria? Gli era permessa, dato che la Borsa di Londra esisteva già dal 1571, inaugurata da Elisabetta I (1533-1603), con il nome di Royal-Exchange. In ciò ebbe l'esempio da molti banchieri e finanzieri;
- Il silenzio sull’esito della battaglia di Waterloo? Non era tenuto a rivelare ciò che già sapeva, visto che era un semplice cittadino, privo di un ruolo ufficiale, senza alcun dovere di informare il pubblico.
- Ma la scaltrezza con cui ha agito? Ecco la linea nera sul guadagno dei trenta milioni. Vedendo nella sala del Borsa il volto abbattuto e funebre di Rothschild, porgendo orecchio al racconto della disfatta di Blücher a Ligny, ci si affrettò a vendere, sbarazzandosi dei suoi titoli. Ci si chiede: li avrebbero ceduti senza questo volto, senza questo racconto? Alcuni dicono: «È probabile». Altri affermano: «Le cattive notizie che giungevano dalle fonti ufficiali, confermate dagli uomini di Stato, bastavano al cedimento del mercato». E aggiungono: «Rothschild non era tenuto ad avere un volto diverso dagli avvenimenti conosciuti, né a divulgare altri racconti diversi da quelli che si leggevano sulla stampa ufficiale. La cosa migliore per l'israelita era certamente quella di tenere certe cose per sé, pur facendo acquistare in ribasso da agenti in incognito i titoli sotto l’impressione del crollo, ma senza aumentare e premere il crollo con la sua presenza affossata e la sua aria lugubre».
Dopo questa investigazione di carattere morale, si deve forse ritenere che il tornaconto di Waterloo cade sotto l’influenza della sentenza di Padre Jean Mabillon o.s.b. (1632-1707): «Le fortune enormi e male acquisite sono un rivoltante scandalo pubblico». Indubbiamente, certi pareri saranno condivisi in un mondo superficiale. Ma il chi è favorevole a Nathan Rothschild farà fatica a spiegare e a dissipare la dolorosa impressione che è rimasta negli spiriti, e di cui riportiamo solamente l'eco più rispettosa: «Impossibile vedere una fortuna la cui l'origine sia più onorevole (il deposito affidato dal langravio di Hesse-Cassel). Ma un fiume, chiaro alla sua sorgente e libero dal fango, non scorre sempre verso la sua foce con ondate così limpide [...]. L'indomani della battaglia di Waterloo, Nathan Rothschild realizzò, senza imbarazzo e senza rimorso, un pesca da trenta milioni di franchi» 19.
Imbarazzata da questa deviazione, ancor più che dalle altre interpretazioni sfavorevoli, l'opulenta famiglia si sforzò, in seguito, di ricordare la purezza della sua sorgente e di respingere il fango, scavando, nel mezzo della sua colossale fortuna, un letto superbo alla beneficenza: la morale cristiana ispirerebbe anche di meglio!...
VI
Un nuovo impero all'orizzonte
Parlando delle trattative degli alti personaggi dopo gli avvenimenti che abbiamo appena narrato, Chateaubriand definì il potere di uno di essi con questa frase: «Il padrone dei re ripartì: bisogna sapere se gli si lascerà il tempo»! 20. Potrebbe sembrare, dalla maestosità dell'epiteto e alla sufficienza della risposta, che lo scrittore si riferisse all’episodio di Napoleone a Dresda, che mentre stava dettando legge all’Europa, era circondato da una corte plenaria di re. Non illudiamoci: si trattava di Rothschild. La penna di Chateaubriand non ha affatto sbagliato scrivendo «il padrone dei re». Infatti, la sera stessa in cui finì e scomparve l'impero napoleonico, un altro iniziò a spuntare all'orizzonte. Che strano impero! Non assomiglierà per nulla a tutti quelli che l'hanno preceduto. Fin dal 1815, il nome preso in prestito dall'insegna rossa brillava già come quello di una casata sovrana: «il padrone dei re» si annuncia! Rothschild si servì dei mezzi che Napoleone aveva utilizzato per introdurre e consolidare la sua dinastia, ma in una forma necessariamente ebraica: Napoleone entrò nella famiglia dei re come un soldato incoronato, con armi e bagagli; il suo matrimonio fu una conquista. Rothschild vi entrò non per la camera nuziale, ma attraverso la camera del Tesoro; e la vecchia Europa non rimase meno stupefatta, né meno silenziosa. Napoleone aveva immaginato di fare dei re. Non dava forse dei troni a tutti suoi fratelli, «per creare dei punti d‘appoggio e dei centri di corrispondenza per il grande impero»? La casa dei Rothschild si installò e troneggiò ben presto in cinque capitali d'Europa: a Francoforte, a Londra, a Vienna, a Napoli e a Parigi. Disponendo di enormi capitali, i cinque fratelli stabilirono in tutti gli angoli d'Europa degli uffici di corrispondenza. Essi erano informati delle più piccole fluttuazioni dei fondi pubblici. Operavano solamente a colpo sicuro, e le loro operazioni erano avvolte dal segreto più impenetrabile. L'oro affluiva sempre nelle loro casse come una crescente marea. Da un'estremità all’altra dal continente, i re li colmavano di onori. Napoleone diceva: «Dov’è Drouot»? All'artiglieria; «Dov’è Murat»? Alla cavalleria. I re e i governi diranno: «Dov'è Rothschild»?
è la coalizione dei capitali che comincia, diversamente potente da quella degli eserciti. Conquistatori di un nuovo genere, i capitali funzionano molto meglio, per assicurarsi la supremazia, della stessa spada di Cesare. Strano e insolito impero! Ridiciamoci sopra. Non rimarrà che la Chiesa che, passando davanti all’insegna rossa, saluterà con la stessa fierezza con cui i primi cristiani, entrando nell'arena, accompagnavano il loro saluto a Cesare: «Ave, Cæsar, te judicaturi salutant» 21.
L'antica cattedrale di Notre-Dame di Parigi, che ha visto l'incoronazione del Cesare delle aquile (Napoleone), ha sentito anche questa fiera e commovente perorazione, in cui la profezia si mescola alla storia: «Quando l'imperatore Giuliano l'Apostata attaccò il cristianesimo con quello stratagemma e con quella violenza che porta il suo nome, e che assente dall'impero, era andato a cercare nelle battaglie la consacrazione di un potere e di una popolarità che doveva, nel suo pensiero, portare a termine la rovina di Gesù Cristo, uno dei suoi collaboratori più intimi, il retore Libanius, incontrando un cristiano, gli chiese, per deriderlo e con tutto l'insulto di chi pensa di avere già la vittoria in tasca, cosa stava facendo il Galileo; il cristiano rispose: “Sta fabbricando una bara”. Qualche tempo dopo, Libanius pronunciò l'orazione funebre di Giuliano l'Apostata davanti al suo corpo contuso e al suo potere tramortito. Ciò che faceva allora il Galileo, lo fà sempre, qualunque sia l'arma e l'orgoglio che si oppone alla Sua croce. Sarebbe lungo riportare tutti gli esempi più famosi; ma ne abbiamo alcuni che ci toccano da vicino e per mezzo dei quali Gesù Cristo, all'estremità delle epoche, ci ha confermato la nullità dei Suoi nemici. Così, quando Voltaire si strofinava di gioia le mani, verso la fine della sua vita, dicendo ai suoi fedeli: “Fra vent'anni Dio ne vedrà delle belle”, il Galileo costruiva un feretro: era la bara della monarchia francese. Così, quando un potere di un altro ordine, ma in qualche modo derivato da quello di San Pietro, tenne il Sommo Pontefice in una cattività che presagiva la caduta almeno territoriale del Vicario di Gesù Cristo, il Galileo fece una bara: era la bara di Sant'Elena. E sempre così sarà: il Galileo non fà che due cose: vivere della Sua persona e seppellire tutto ciò che non è Lui» 22.
Questa enumerazione richiede un supplemento, una domanda e una risposta all'incalcolabile e preponderante fortuna del «padrone dei re»: il Galileo gli sta preparando una bara? Sì, certamente. Ma voglia il cielo che questa bara sia il sepolcro stesso del Golgota! Perché, nelle vicinanze, il pentimento e la ricchezza potrebbero rinnovare magnificamente il più acclamato dei trionfi: quello delle lacrime e dei profumi della Maddalena, la ricca ebrea di Magdala! 23. Tutto ciò che precede è stato estratto dal bel libro lavoro intitolato Napoléon 1er et les israélites 24, ma essendo questo studio sui Rothschild troppo breve per la nostra cornice, l'Autore ci ha autorizzato a completarlo con un capitolo preso in prestito da un altro libro uscito dalla sua penna tanto sapiente quanto feconda 25: Dopo avere parlato dell'apostasia contemporanea e della fisionomia così odiosa dei figli delle tenebre, lo scrittore espone l’insolenza del piano settario:
- Insolenza del numero: i popoli che si dispongono contro Dio;
- Insolenza dello scopo: l'uomo che si sostituisce ovunque a Dio;
- Insolenza nell'esecuzione: poiché è della Francia e dell’Italia che di preferenza ci si serve;
- Insolenza nel modo d'esecuzione: le leggi si ritorcono contro Dio e contro la Sua Chiesa;
- Infine, si arriva all'insolenza negli ausiliari del piano satanico.
E qui, lasciamo nuovamente parlare il saggio Autore.
VII
IL RUOLO DEL GHETTO
NELL'APOSTASIA CONTEMPORANEA
Nello spaventoso piano che viene eseguito c'è anche l'insolenza delle ausiliari. L'imperatore Giuliano l'Apostata (331-363), quando aveva tentato invano di distruggere la religione cristiana, aveva chiamato alla riscossa due gregari: il paganesimo - di cui rianimò le false divinità, le usanze e le feste - e il giudaismo, e per questa ragione tentò di ricostruire il Tempio di Gerusalemme distrutto dai romani nell'anno 70 d.C.). L'apostasia moderna, erede del piano di Giuliano l'Apostata, ma con aspirazioni maggiori, si è ricordata dei due antichi collaboratori. L'aiuto del primo si è spiegato con fragore all'apertura della Rivoluzione Francese, ed è rimasto celebre, giacché dal 1789 alla costituzione dell'impero napoleonico, i costumi riconducibili alla Roma pagana, ad Atene o a Sparta, rovesciarono i loro flutti impuri nella vita di una nazione cristiana, e i boia danzarono, come gli antichi satiri, sui corpi dei sacerdoti e dei cristiani massacrati; ma l'ausilio del paganesimo si è esaurito, ed ora è il turno dell'ebraismo come assistente persecutorio. Affrettiamoci a dire che la maggior parte degli israeliti non è costituita da persecutori e che molti di essi sono animati di disposizioni fraterne verso i loro concittadini cristiani, ma che la malevolenza inveterata del giudaismo a riguardo del cristianesimo è persecutrice. Inoltre, l'immaginazione d'Israele non ha mai smesso di essere abitata da un sogno di dominio universale; di modo che, a causa di queste disposizioni innate e tradizionali di ostilità, e a questo sogno del dominio, tutti gli ebrei partecipano - volente o nolente - al ruolo di persecutori giocato da un certo numero di essi che hanno preso posto nelle Logge massoniche, e addirittura le dirigono. Essi fanno causa comune; tacitamente, accettano questa responsabilità, e la migliore prova è che nessun rabbino o nessun israelita di una certa fama si è alzato per protestare contro la persecuzione che affligge i cattolici. In tempi non lontani, i Papi si sono alzati per proteggere gli ebrei perseguitati; fino ad oggi, non un solo rabbino ha espresso la sua riconoscenza. Dunque, tutto il popolo ebraico può essere considerato se non come appartenente al campo dei persecutori, almeno come suo alleato; assenti al Golgota, gli ebrei attuali non hanno smentito il crimine dei loro padri, e portano sul loro capo il peso del Sangue di Cristo; assenti dalle Logge massoniche, anche gli israeliti onesti portano il peso della persecuzione contro i cattolici, perché non hanno ancora avuto il coraggio di biasimarla e di smentire il loro coinvolgimento.
Satana ha guardato questo popolo, e ha dovuto dire: «Lo detesto, mi detesta, e tutti gli altri popoli lo detestano. Lo detesto, perché da esso è nato il Figlio di Dio e perché deve servire agli ultimi disegni della Provvidenza. Mi detesta, perché, malgrado la nostra intesa sul Calvario, rimane contro di me il difensore dell'unità di Dio. E i popoli lo detestano, perché attira a sé tutte le borse dell'oro. Tuttavia, è esso che diventerà, ancor più del paganesimo, l'aiutante più prezioso nella lotta contro il cattolicesimo che detesto sovranamente». Riprendi coraggio, Satana, ci sarà la mischia degli odi! Infatti, per la prima volta, dai tempi in cui Giuliano l'Apostata aveva cercato di ricostruire il Tempio di Gerusalemme, il popolo ebraico è tornato all'attacco, chiamato positivamente dall'apostasia moderna. E l'insolenza accompagna tutti i suoi movimenti: l'insolenza della sua fortuna di fronte alle disgrazie dei cattolici.
Quale gioia, prima segreta e ora rumorosa, ha generato in lui questa persecuzione? «Ora tocca a noi: la rivincita del Talmud sul Vangelo! Viva il 1789, il nostro nuovo Sinai»! Per troppo tempo si è detto: «Dagli all’ebreo»! Non è dunque un male che oggi si dica: «Dagli al prete»! Insolenza nelle compiacenze a riguardo dell'apostasia dei cristiani. Alcuni ministri della guerra hanno vietato ai soldati francesi di assistere alla Messa, persino nel giorno di Pasqua; ma per i militari ebrei, alcune circolari emanate dal Gabinetto del ministro, scritte di suo pugno, ingiungono a tutti i capi dell'esercito di permettere agli ebrei di poter rientrare nei loro focolari per celebrare la loro Pasqua. Le eccezioni, i favori e le adulazioni prodigate agli ebrei sono ancora più ripugnanti negli altri ministeri. Le patrie cristiane muoiono, e a questi senza-patria vengono aggiudicate le loro spoglie! Insolenza nel fasto. Solo ieri, l'ebreo era la favola e lo zimbello dei popoli, fuggiasco e senza dimora fissa; e oggi, esso si è installato in sontuosi hotel e nei palazzi reali. Le riserve dei parchi principeschi gli appartengono. I re si prostrano davanti al suo scettro. Padre Henri-Dominique Lacordaire o.p. (1802-1861) aveva detto, a proposito dei costumi che cominciavano a ridivenire pagani sotto Luigi XIV (1638-1715): «Nella camera in cui ha dormito San Luigi IX, Sardanapale era coricato; Stambul aveva visitato Versailles e si trovava a suo agio». Oggi, usando il suo magnifico linguaggio direbbe: «Lo Judengasse ha visitato Versailles e si è trovato a suo agio; nella camera dove hanno dormito i re di Francia, si appresta a distendersi qualche spettro, lo scheletro di una razza fatta appassire; e se i matrimoni misti continuano ad essere ricercati dalle corone di duchi in preda allo sconforto, i giacigli reali non sono più al sicuro»! Insolenza nel tono dei suoi giornali. Non è precisamente il tono di un villano rifatto, perché è stato re: popolo-re con Davide e con il divino Messia! No, è il tono crudele e pieno di alterigia di un umiliato che è rimasto orgoglioso, e che sente che sta per ridiventare padrone. Quali ingiurie ignobili e grossolane non scaricano giornalmente i vili di cui acquista la penna sull'augusto Capo della Chiesa e sui cattolici? Mai questa frase pronunciata da un tiranno dell'Alta Finanza è stata così reale: «Non so veramente cosa faranno i piccoli cristiani per sopravvivere fra cinquant'anni»!
Quale insolente dominio si prepara sotto le unghie degli avvoltoi dell'Alta Finanza! Insolenza nei suoi modi persecutori. C'è qualcosa di strano nella persecuzione contemporanea; infatti, non è la violenza a caratterizzarla, ma l'astuzia, l'ipocrisia, la tenacia e la pazienza. «Essa smaschera Caifa»: è il brivido generale! Nulla è a caso nei fendenti che colpiscono i cattolici; tutto è calcolato, meschino e strisciante. La società cristiana non è esposta negli anfiteatri alle tigri e ai leopardi; la si fà sanguinare lentamente, alla maniera ebraica. Con una derisione che fà esultare la sètta massonica, ciò oggi che resta del regno temporale dei Papi, il Vaticano, un tempo era l'area dell'antico ghetto all'epoca in cui San Pietro venne a Roma; ora, di connivenza con l'apostasia, l'Alta Finanza avvolge e strangola il Vaticano con costruzioni insolenti, per soffocare il Papato; il fumo delle fabbriche penetra nei giardini del Papa, indizio di disprezzo e preludio dell'asfissia.
Ecco l'aiutante! Il sogghigno di Satana e del piano séttario non è immotivato: «Questa volta non vincerai, Galileo»! Le cronache raccontano che quando Giuliano l'Apostata decise di ricostruire il Tempio di Gerusalemme, alcuni globi di fuoco uscirono improvvisamente dalle viscere della terra e divorarono, con una parte degli operai terrorizzati, i cantieri dell'audace ricostruzione. Lasciamo in serbo all'Onnipotente il segreto del fuoco che, certo, farà pentire gli ebrei massoni o astiosi del loro concorso fornito all'apostasia dei Giuliani moderni, e preoccupiamoci solamente degli israeliti onesti e ben disposti, ricordando loro un episodio della loro storia che, con la grazia di Dio, potrà diventare, per essi, un faro. Israele era in marcia verso la Terra Promessa. Avendo appreso del suo passaggio, il re di Moab, pieno di collera e di furore, fece venire in suo aiuto dalle rive dell'Eufrate Balaam, un celebre indovino. Gli offrì dei doni e gli disse: «Ecco un popolo è uscito dall'Egitto; ricopre la terra e si è stabilito di fronte a me; ora dunque, vieni e maledicimi questo popolo; poiché è troppo potente per me; forse così riusciremo a sconfiggerlo e potrò scacciarlo dal paese». Segue questa scena famosa in cui Balaam, condotto successivamente dal re su tre diverse vette da cui si vedeva Israele accampatosi sotto le tende e distribuito in tribù, benedì ogni volta anziché maledire, e pronunciò queste commosse parole: «Come imprecherò, se Dio non impreca? Come inveirò, se il Signore non inveisce? Anzi, dalla cima delle rupi io lo vedo e dalle alture lo contemplo [...]. Come sono belle le tue tende, Giacobbe, le tue dimore, Israele! Sono come torrenti che si diramano, come giardini lungo un fiume, come àloe, che il Signore ha piantati, come cedri lungo le acque» (Nm 23, 8-9; 24, 5-6).
Oh, israeliti onesti che non non avete paura della luce, Balaam, che ha benedetto i vostri padri con accenti commossi e pieni di grandezza, è stato soprannominato «il profeta delle nazioni»; tutti i profeti sono usciti da Israele, eccetto uno, e, quando soggiogato dallo spirito di Dio che lo aveva visitato, pronunciò la sua profezia, le sue labbra, in mancanza del suo cuore, si profusero lodi e in benedizioni su Israele che gli si chiedeva di maledire. Ebbene! Oh, israeliti retti nella giustizia e per i disegni di Dio! Ecco presto venire la felice opportunità di rendere alle nazioni cristiane e alla Chiesa loro Madre, la benedizione che vi fu data nel paese di Moab. All'apostasia che conta sul vostro concorso per il compimento finale dell'orribile piano che ha concepito, dite con magnanimità: «Mi hai chiamato come aiutante nell’odio! Ma come maledirò io quelli che Dio non ha maledetto affatto? Come detesterò quelli che il Signore non detesta»?
E possiate aggiungere, vedendo che la Chiesa trasporta i suoi accampamenti, come una sublime viaggiatrice, attraverso il mondo, intatta e fiera nella sua bella ordinanza, mentre le rivoluzioni sconvolgono tutti gli Stati, con l'unità dei suoi Vescovi intorno al Papa, la devozione dei suoi sacerdoti, l'ubbidienza di tutti i suoi figli, possiate, non solo con le labbra, ma dal cuore, aggiungere: «Come sono belle le tue tende, Giacobbe, le tue dimore, Israele»! Ma prima che si produca questo atto di illuminazione e di magnanimità, per quali dolorose purificazioni dovranno passare i resti di Israele e i resti delle nazioni cristiane? Infatti, come termine finale del piano séttario, si preparano, per l'umanità, adorazioni mostruose. L'uomo ha bisogno di adorare. Questo sentimento, questo culto, è inseparabile dalla sua natura avida di essere soddisfatta. Essendo il suo essere finito e limitato, e non trovando in sé di che cosa saziare le sue ambizioni aperte sull'infinito, si precipita ai piedi di tutto ciò che gli porta un poco della pienezza sognata e inseguita.
Se è religioso, comprende che solo Dio è capace di colmare gli abissi del suo essere, e adora solamente Lui. Al contrario, se è irreligioso, o semplicemente frivolo, dissemina e prodiga le sue adorazioni a tutto ciò che sazia le sue brame e accontenta i suoi capricci. Nelle riunioni mondane, si profana questa parola, trovando adorabili le cose più futili. In breve, l'uomo ha bisogno di adorare. Ora, se il piano séttario si ostinerà a distogliere i popoli da Dio, verso chi o verso cosa trascinerà le adorazioni della moltitudine? Poiché anche le moltitudini hanno bisogno di adorare, esse gridano: «Cercateci degli errori! 26 Cercateci degli idoli»! Il piano séttario ci ha pensato. Questi idoli non somiglieranno in nulla a quelli dell'antico paganesimo, perché i popoli trasformati dal cristianesimo sono diventati troppo intelligenti per portare i loro omaggi a simulacri di legno, di metallo o di pietra. Saranno impersonali, e per ciò stesso più difficili da estirpare. Preparando questi idoli in rapporto con l'umanità - che deve sostituirsi alla divinità - il piano séttario ha detto alle moltitudini: «Adorerete tre cose che sono le fonti di tutti i favori e di tutti i godimenti: l'oro, la prostituta e il potere».
- C'è l'adorazione dell'oro. Mai le viscere della Terra sono state più zelanti a fornirne, e la sete di a possederne è mai stata più ardente e più ansimante. Gli antichi riderebbero, se vedessero le loro superate forme di adorazione riapparire: tra le rovine di Pompei è stata scoperta una bottega con questa insegna: «Salve lucro»; oggi, la società moderna è in ginocchio davanti a questa insegna. Gli ebrei danzarono intorno al vitello d'oro: lo spirito del secolo è diventato ebraico, e, nell'accresciuto cerchio di danza, tutti i popoli fanno a gara e si precipitano trascinati. Rothschild appare alle folle come il principe dei beati, e, di tutti i tempi, nessun luogo è più frequentato né universalizzato della Borsa. Anche quelli che credono al Vangelo si lasciano pervadere dalla febbre del guadagno.
Il Vangelo raccomanda: «Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta» (Mt 6, 33). Ahimè! Prima di tutto si cerca il guadagno, e il regno di Dio è divenuto il sovrappiù. In verità, a partire dalla Rivoluzione Francese, l'oro è diventato la prima divinità democratica, e per essere ammessi a baciare l’estremità del suo scettro, non c'è bassezza che non si faccia e ignominia che non si sopporta.
- C'è l'adorazione della prostituta. Il Libro dei Proverbi contiene un'allarmante raccomandazione di cui i governi, quando erano buoni, avevano fatto la loro linea di condotta per la salvaguardia dei cittadini, con la stessa sollecitudine delle madri di famiglia: «Ora, figlio mio, ascoltami e non allontanarti dalle parole della mia bocca. Tieni lontano da lei il tuo cammino e non avvicinarti alla porta della sua casa». Qual'è la casa che i Libri Santi, le madri di famiglia e i buoni governi consigliano di evitare? Quella della donna di malaffare. Il Libro dei Proverbi aggiunge: «Stillano miele le labbra di una prostituta e più viscida dell'olio è la sua bocca; ma ciò che segue è amaro come assenzio, pungente come spada a doppio taglio. I suoi piedi scendono verso la morte, i suoi passi conducono agli inferi» (Pro 5, 7-8; 3-5). Ora, volete cogliere con un balzo del pensiero tutta la strada che l'apostasia ha fatto percorrere alle patrie cristiane? Che si cerchi la risposta pubblica, ufficiale e clamorosa che i governi danno oggi all'antico consiglio di prudenza: «Non avvicinarti alla porta della sua casa».
Qual'è la casa che designano con questa interdizione? La casa di Dio, la chiesa! Se vi avvicinate ad essa, se vi si vede superare la sua porta, il vostro stipendio sarà soppresso, il vostro posto vi sarà tolto, la vostra carriera sarà compromessa. Invece, per voi la casa della prostituta è aperta e non avete bisogno di deviare il vostro cammino. Così è stato stabilito e stabilizzato questo spaventoso contrasto: la casa di Dio è proibita, mentre la casa della donnaccia viene avvantaggiata. All'inizio della Rivoluzione Francese, si vide un giorno, nella cattedrale di Notre-Dame di Parigi, l'altare del Dio vivente spoglio, e una prostituta in trono posta al di sotto di esso; dopo un secolo, ciò che si era osato nel tempio è continuato ed è stato universalizzato nei costumi; gli adoratori sono stati tolti a Dio e aggiudicati alla prostituta.
- C'è l'adorazione del potere. In un Stato democratico senza Dio, l'esercizio del potere, dal portafoglio del ministro fino alla funzione del guarda-caccia, suscita e favorisce l'intesa tra la tirannia e l'adulazione. Per arrivarvi, si consente al vergognoso compromesso, alle ignobili promiscuità, alle basse e odiose misure contro le persone per bene e contro la Chiesa di Dio.
- «Avrai questo posto di magistrato, ma dovrai ordinare degli arresti». «D'accordo, ordinerò degli arresti»;
- «A te questo portafoglio di ministro, purché ti impegni a fare passare quella legge». «Farò passare quella legge»;
- «Sarai deputato, ma voterai in questo senso». «Voterò in questo senso».
Il celebre Vescovo di Magonza, Mons. Wilhelm Emmanuel Freiherr von Ketteler (1811-1877), dotato di un colpo d'occhio profetico, aveva annunciato in questi termini, più di vent'anni fa, la deificazione dello Stato: «Nel firmamento c'è un astro nebuloso di cui è difficile dire se cresce o se diminuisce, e, in quest'ultimo caso, se non diminuisce che temporaneamente per poi crescere con una rinnovata forza ed esercitare sul mondo la sua malefica azione. Questo astro è la deificazione dell'umanità sotto forma del dio-Stato [...]. Prima c'è stata la deificazione dell'uomo, e adesso viene la deificazione del genere umano. Ora, la forma che meglio si adatta alla deificazione dell'umanità è la forma dello Stato, e infatti è là che oggigiorno affluiscono, come altrettanti piccoli ruscelli, le opinioni più diverse. Il dio-Stato, lo Stato senza Dio: ecco il tratto distintivo dello Stato moderno e, se non mi sbaglio, la tendenza delle Società Segrete. Si degni il Cielo di preservarcene in un prossimo avvenire! Se i nostri timori si realizzassero, sarebbe un segno che siamo giunti a quei tempi di terribili combattimenti di cui parla la Sacra Scrittura» 27. Da quando queste parole profetiche sul pericolo della deificazione dello Stato sono state scritte, le cose hanno progredito rapidamente: l'adorazione di questo mostro non sta forse diventando pratica per le adulazioni e per l'esercizio del potere? Dedicarsi anima e corpo allo Stato; acconsentire, per avere una carica, a tutto ciò che chiede la sétta, è una delle forme d'adorazione in una democrazia senza Dio. Si vedono andare e venire mute di ambiziosi, simili a cani che si contendono la preda; si affrettano, si succedono e si rovesciano. Gli ultimi arrivati leccano le sozzure dei loro precursori, e tutti, come i cani che leccarono il sangue di Nabot il giusto (1 Re 21, 19), sono pronti a litigarsi i brandelli della Chiesa cattolica! Adorazione dell'oro, adorazione della prostituta, adorazione del potere; culto ammaliante, culto lussurioso, culto democratico; ecco il presente; il genere umano si prosterna e la sétta massonica applaude!
Ora, dietro a questa tripla adorazione, si prepara un'insolente adorazione, il termine finale degli intrighi dell'inferno: quale? L'adorazione arrogante dell'Anticristo. Se un giorno, alla società, privata di Dio, si presentasse una potente personalità che ricapitolasse in sé tutti gli strumenti di seduzione inventati dal progresso moderno, e alla quale il genio del male, Satana, avesse elargito tutte le attrattive seduttrici tenute in riserva per il «figlio di perdizione» (2 Ts 2, 3); se questa personalità, consumando e abusando del suffragio universale, trascinasse le moltitudini, e disponesse anche dei popoli grazie a vittorie da conquistatore, cosa accadrebbe?
Così, riprendendo ed estendendo la persecuzione intrapresa da Giuliano l'Apostata, egli soffocherebbe in modo ancor più opprimente la Chiesa con leggi ipocrite e feroci, e diminuirebbe il numero dei servitori di Dio. Colpiti dal potere straordinario di questo tiranno, gli ebrei lo riconoscerebbero come il Messia temporale che si ostinano ad aspettare, e l'appoggerebbero con tutto il loro potente capitale, mentre dal canto suo l'Anticristo li farebbe trionfare sui cattolici. E se, giunto a questo apogeo, un simile despota, un mostro di potenza anticristiana, invitasse ed eccitasse i popoli, asserviti e abbagliati, alla ricerca sfrenata dell'oro, dei godimenti voluttuosi e delle cariche dello Stato, distribuendole alle sue basse creature, questo tiranno, questa formidabile personalità, non sarebbe forse l'Anticristo? Ora, così come ha rivelato l'Apostolo delle genti, l'uomo del peccato avrà la sfrontatezza di chiedere per sé l’adorazione: avversario di Dio, si innalzerà fino a sedersi nel Tempio di Dio, facendosi passare per Dio stesso. Ma, aggiunge l'Apostolo, il castigo di questa delittuosa arroganza, non si farà aspettare: Gesù Cristo lo distruggerà con il soffio della Sua bocca, ossia con la più grande facilità (2 Ts 2).
Queste parole indiscutibili di San Paolo, paragonate a ciò che accade ai nostri giorni e a ciò che si prepara nelle Logge della sétta massonica, assolvono dal rimprovero di temerarietà le nostre ipotesi che possono diventare delle realtà storiche, nel modo che solo Dio sa. Il grande Vescovo di Magonza termina con queste parole il bellissimo opuscolo citato più sopra: «Cristo o Anticristo: questa antitesi racchiude tutto il mistero dell'avvenire» 28. Perciò, dobbiamo ringraziare di tutto cuore Leone XIII (1810-1903), per aver prescritto la recita di questa preghiera che si dice alla fine di ogni Messa, in tutti i punti del globo, dal sacerdote, al quale si uniscono tutti i fedeli: «San Michele Arcangelo, difendeteci nel combattimento; siate il nostro soccorso contro la malizia e le insidie del diavolo. Che Dio lo sottometta, ve ne supplichiamo. E Voi, Principe della milizia celeste, per la divina potenza, ricacciate nell'inferno Satana e gli altri spiriti maligni che vagano per il mondo a perdizione delle anime. Così sia» 29.
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Note
1 Traduzione dall’originale francese Rothschild, apparso sulla rivista Les Contemporains (nº 173, del 2 febbraio 1896), a cura di Paolo Baroni. L'Autore (1836-1915) era un ebreo convertitosi al cattolicesimo e divenuto sacerdote insieme al fratello Augustine.
2 Scritto reperibile alla pagina web
http://www.disinformazione.it/rothschild.htm
3 Sètta massonica fondata dall’ebreo Adam Weißhaupt (Spartacus) in Baviera, il 1° maggio 1776.
4 Cfr. J. Reeyes, The Rothschilds, Londra 1887; «Les grandes fortunes en Angleterre» («Le grandi fortune in Inghilterra»), in Revue des Deux-Mondes, 1888.
5 Nella Germania medievale, era un titolo attribuito ad alcuni conti e feudatari.
6 Cfr. Mémoires du général baron Marbot, vol. I, cap. XXXI.
7 Cfr. J. Reeyes, op. cit.
8 Il giornale Le Pélerin, del 18 dicembre 1892 (n° 833, pag. 713) così si espresse: «Una famiglia ebraica possiede da sola più di tre miliardi di franchi, vale a dire tanto quanto tutte le comunità riunite dieci volte. E il padre di questa famiglia tedesca, venuta da Francoforte solamente un secolo fà, Amschel Mayer Rothschild, vendeva, in questa città, articoli di paccottiglia con la borsa in spalla». «I tre figli di Noè - scriveva M. Dubourg - si divisero il mondo per popolarlo; i cinque figli di Rothschild si divisero l’Europa per sfruttarla. Amschel, il maggiore, ebbe Francoforte e la Germania. Salomon ebbe Vienna e l’Austria. Nathan scelse Londra e l’Inghilterra. La disfatta di Waterloo arrotondò la sua piccola fortuna di venti milioni. In Inghilterra si dubitava del successo, e i fondi diminuivano senza sosta. Egli, da buon ebreo, appena seppe del disastro, informato dagli ebrei che seguivano l’esercito per finire i feriti e derubare i cadaveri, arrivò per primo in Inghilterra grazie ad una spaventosa tempesta e acquistò tutto quello che poteva e annunciò la sua vittoria… dopo la borsa. Charles si stabilì a Napoli, ma fuggì davanti all’unità d’Italia, e la sua famiglia ora è in Francia. James, il Beniamino della sua famiglia, si è aggiudicato la parte del leone, a Parigi e in Francia. È il fondatore della dinastia francese d’Israele; è morto nel 1868, lasciando cinque figli: 1) Alphonse, che abita a Parigi nel magnifico hotel de Talleyrand, in rue Saint-Florentin; 2) Nathaniel, morto. Ha avuto due figli; uno, Edmund, che perse, giocando contro l’unione generale, nel 1881 e si suicidò; l’altro, Arthur, che è il proprietario del principesco yacht “Eros”; 3) Salomon, morto; 4) Gustave, che ha perso, qualche tempo fa, parecchi milioni in Borsa. Si sarebbe accontentato volentieri dei milioni che gli restavano; ma la famiglia, che non la pensava così, riunì in fretta il Consiglio per togliergli l’amministrazione dei suoi beni; 5) Infine, Edmund, che è un ardente collezionista: ultimamente ha pagato 600.000 franchi per un vecchio cassettone. Tre miliardi per un mezza dozzina di ebrei fanno giusto 500 milioni per ciascuno, che equivale a possedere 500 castelli da milionari con dipendenze e redditi assortiti. Com’è possibile che il ghetto sia arrivato a queste vette? Grazie ai prestiti che hanno necessitato le nostre guerre e le nostre rivoluzioni, grazie alla finanza a tutti i livelli, e infine grazie alla stampa. Nel 1840, diceva un rabbino al Congresso di Cracovia: “Propongo con un attacco immediato contro la stampa di tutti i Paesi. Dobbiamo raggiungere ad ogni costo il monopolio della stampa”. Oggi, i bollettini finanziari e tutti i grandi giornali sono al soldo degli ebrei. L’Austria, l’Inghilterra, l’Italia e la Germania sono invase dalla stampa ebraica. Si pretende a torto - diceva l'Autore - che coloro che reggono la Francia siano i nostri deputati, i nostri senatori, i nostri ministri. Ebbene! no; questi signori regnano, ma non governano, e, pur essendo chiamati “dirigenti”, sono tuttavia governati. In generale, dietro di essi c’è tutto il ghetto, e la dinastia dei Rothschild in particolare. Penetrate in tutti i retrobottega del giornalismo, della finanza, dei teatri,della Camera e del Senato, e vi troverete degli ebrei che stanno contando del denaro, mentre cercano di acquistare qualche coscienza».
9 Cfr. J. Reeyes, op. cit.
10 Ibid.
11 Da una poesia di François Maynard (1582-1646). Ecco il testo originale: «De peur d’endosser la cuirasse, Tu sers avec fidélité, Une damoiselle de glace, Qu’on appelle Neutralité».
12 Cfr. F.-R. de Chateaubriand, Congrés de Vérone.
13 Reato di chi provoca variazioni artificiali nei prezzi di merci o valori mobiliari allo scopo di trarne profitto (N.d.T.).
14 Cfr. Rothschild, Parigi 1846.
15 Gli inglesi hanno difeso Grouchy contro Napoleone: «L'imperatore lasciò che i prussiani scappassero dopo la loro disfatta di Ligny, e impartì un falso ordine al Maresciallo Grouchy di inseguirli con 33.000 uomini. In seguito a questo movimento male ordinato, Grouchy, mentre si combatteva a Waterloo, era a Wavre, dove si impegnò in un combattimento inutile con il Corpo prussiano di Thielemann, lasciando Blücher libero di prestare soccorso a Wellington. In ogni istante, durante queste giornate, Napoleone si mostrò negligente, inattivo, inavvicinabile e più simile ad un Dario che ad un Alessandro» (cfr. Seeley, History of Napoleon, I).
16 Cfr. F.-R. de Chateaubriand, op. cit.
17 Cfr. J. Reeyes, op. cit.
18 Ibid.
19 Cfr. E. De Mirecourt, Les Contemporains: Rothschild.
20 17 Cfr. F.-R. De Chateaubriand: Négociations, colonies espagnoles, cap. LXXVII.
21 Poiché i gladiatori entravano nell’arena salutando Cesare e dicendo: «Te morituri...» («chi morirà...»), i cristiani dicevano fieramente: «Te judicaturi...» («chi ti giudicherà...»).
22 Cfr. H. Lacordaire, 43ª conferenza: Des efforts du rationalisme pour dénaturer la vie de Jésus-Christ («Gli sforzi del razionalismo per snaturare la vita di Gesù Cristo»).
23 Secondo l'etimologia ebraica, il termine «Magdala», una città della Galilea che ha dato il suo nome alla Maddalena, significa «magnificenza».
24 Cfr. P. J. Lemann, La Religion de Combat («La religione del combattimento»), Lecoffre, Parigi 1891.
25 Cfr. Napoléon 1er et les israélites («Napoleone I e gli ebrei»), Lecoffre, Parigi 1894.
26 «Videte nobis errores»; «Essi dicono ai veggenti: “Non abbiate visioni” e ai profeti: “Non fateci profezie sincere, diteci cose piacevoli, profetateci illusioni»! (Is 30, 10).
27 Cfr. Mons. W. E. Ketteler, L'Allemagne après la guerre de 1866 («La Germania dopo la guerra del 1866»), éd. Gaume, Parigi, pagg. 205, 207.
28 Ibid., pag. 208.
29 Sancte Michael Archangele, defende nos in proelio, contra nequitiam et insidias diaboli esto præsidium. Imperet illi Deus, supplices deprecamur: tuque, Princeps militiæ coelestis, Satanam aliosque spiritus malignos, qui ad perditionem animarum pervagantur in mundo, divina virtute, in infernum detrude. Amen. Purtroppo, la riforma liturgica voluta da Paolo VI (1897-1978) ha cancellato questa bellissima - e più che mai oggi necessaria - preghiera (N.d.T.).